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Messaggio  Hirundo Hiberna Mer 24 Mar 2010 - 11:28

Ripropongo qualche poesia, nella feroce convinzione che la poesia non è quella cosa morta che avete sui libri. L'autore delle prime tre liriche è un contemporaneo: DANIELE MENCARELLI, operatore di un reparto di oncologia di un ospedale romano. Gli ultimi due testi invece fanno parte di un lungo poema che si intitola "La voce a te dovuta" di PEDRO SALINAS, un poeta spagnolo morto negli anni '50.

PADIGLIONE S. ONOFRIO

Puntuale alle dieci della sera
Arrivi stanco dalla giornata di lavoro
Tuo figlio carta e penna già t'aspetta
Un bacio e subito inizia la lezione,
Stasera si comincia con la grammatica
E verbi transitivi e intransitivi,
Poi la matematica e le tabelline
Un po' lo rimbrotti per un nove per otto,
Si finisce con storia e geografia
Piena sufficienza per date e capitali,
Ore undici termina la lezione,
Ora è tuo figlio con le terapie del giorno
Ad essere il maestro, tu l'alunno attento.
***

PADIGLIONE PIO XII

T’ho salutato per sei mesi
pensandoti impiegata o segretaria
di chissà quale ufficio dentro il paese,
poi l’anziano collega mi spiegò bene
la tua vera professione dento l’ospedale,
vivere da cinque anni dietro a un figlio,
un lavoro che nessuno potrà toglierti
per quanto sarà lunga la tua vita.
Ma tu della fatica ne fai un sorriso
del sacrificio una saggezza pratica.
Oggi sulla panchina ti godi il tempo
limpido e fresco com’è d’autunno a Roma.
***

PADIGLIONE PIO XII - SALA AUTOPSIE

Una mattina come tutte le altre
sole e piccioni freschi in cielo,
“prima o poi doveva capitarti”,
così gli altri operai mi dissero.
Non ho ricordi ad aiutarmi
tranne il tavolo d’acciaio bucherellato,
gli arnesi riposti nelle vetrate
l’odore pungente della formalina.
Ancora pago quell’attimo
quell’unico attimo di innata curiosità,
ricordo barattoli e niente altro,
più che altro niente voglio raccontarti,
se non lo specchio al lato della stanza
Che rifletteva uno frenetico a spazzare
a finire il prima possibile il suo dovere,
sudato zuppo con gli occhi vitrei allucinati.

DAVIDE MENCARELLI

*******************************************************************************


DA "LA VOCE A TE DOVUTA"

Le senti come chiedono realtà
scarmigliate, feroci,
le ombre che forgiammo insieme
in questo immenso letto di distanze?
Stanche ormai di infinito, di tempo
senza misura, di anonimato,
ferite da una grande nostalgia di materia,
chiedono limiti, giorni, nomi.
Non possono vivere più così: sono alle soglie
della morte delle ombre, che è il nulla.
Accorri, vieni, con me.
Insieme cercheremo per loro
un colore, una data, un petto, un sole.
Che riposino in te, sii tu la loro carne.
Si placherà la loro enorme ansia errante,
mentre noi le stringiamo avidamente
fra i nostri corpi,
dove potranno trovare nutrimento e riposo.
Si assopiranno infine nel nostro sonno
abbracciato, abbracciante. E così,
quando ci separeremo, nutrendoci
solo di ombre, fra lontananze,
esse
avranno ormai ricordi,
avranno un passato di carne ed ossa,
il tempo vissuto dentro di noi.
E il loro tormentato sonno
di ombre sarà, di nuovo, il ritorno
alla corporeità mortale e rosa
dove l'amore inventa il suo infinito.

PERDONAMI SE TI CERCO COSI'

Perdonami se ti cerco così goffamente,
dentro di te.
Perdonami il dolore, qualche volta.
È che da te voglio estrarre il tuo migliore tu.
Quello che non vedesti e che io vedo,
immerso nel tuo fondo, preziosissimo.
E afferrarlo e tenerlo in alto come trattiene
l’albero l’ultima luce che gli viene dal sole.
E allora tu verresti a cercarlo, in alto.
Per raggiungerlo alzata su di te, come ti voglio,
sfiorando appena il tuo passato
con le punte rosate dei tuoi piedi,
tutto il corpo in tensione d’ascesa
da te a te.
E allora al mio amore risponda
la creatura nuova che tu eri.

PEDRO SALINAS
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QUELLA COSA MORTA CHE AVETE SUI LIBRI Empty Vittorini a Togliatti

Messaggio  Hirundo Hiberna Sab 10 Apr 2010 - 2:06

Caro Palmiro Togliatti,
io non voglio dire che politica e cultura siano perfettamente distinte e che il terreno dell'una sia da considerarsi chiuso all'attività dell'altra, e viceversa. Cercherò più in avanti di mostrare come invece le due attività mi sembrino strettamente legate. Ma certo sono due attività, non un'attività sola; e quando l'una di esse è ridotta (per ragioni interne o esterne) a non avere il dinamismo suo proprio, e a svolgersi, a divenire, nel senso dell'altra, sul terreno dell'altra, come sussidiaria o componente dell'altra, non si può non dire che lascia un vuoto nella storia. (...)
L'influenza che la cultura può esercitare agendo da mezzo della politica sarà sempre molto esigua. E accade inoltre che sia inadeguata, che sia imperfetta. Tanto di più serve invece, obiettivamente, alla storia (e alla politica in quanto storia) che la cultura adempia il proprio compito e continui a porsi nuovi problemi, continui a scoprire nuovi mete da cui la politica tragga incentivo (malgrado il fastidio avutone sul momento) per nuovi sviluppi nella propria azione. Nel corso ordinario della storia, è solo la cultura autonoma (ma, si capisce, non sradicata, non aliena) che arricchisce la politica e, quindi, giova obiettivamente alla sua azione; mentre la cultura politicizzata ridotta a strumento di influenza o, comunque, privata di una problematicità sua propria, non ha nessun rapporto qualitativo da dare, e non giova all'azione che come un impiegato d'ordine può giovare in un'azienda. (...) La cultura, cioè, deve svolgere il suo lavoro su un doppio fronte. Da una parte svolgerlo in modo che le masse le restino agganciate e non si fermino, anzi, ne ricevano incentivo ad accelerare la propria andatura, e a lasciar cadere sempre più in fretta quelle sopravvivenze di cultura sorpassata che inceppano il loro dinamismo storico. Da un'altra parte svolgerlo (e allo stesso tempo) in modo che non si verifichino arresti nel suo sviluppo e alterazioni nella sua natura per via dell'arretratezza culturale in cui le masse, o parte di esse, si trovano. (...) Politica si chiamerà la cultura che, per agire, si adegua di continuo al livello di maturità delle masse, e segna anche il passo con esse, si ferma con esse come accade che con esse esploda. Continuerà invece a chiamarsi cultura la cultura che, non impegnandosi in nessuna forma di azione diretta, saprà andare avanti sulla strada della ricerca. Ma se tutta la cultura diventa politica, e si ferma su tutta la linea, e non vi è più ricerca da nessuna parte, addio. Da che cosa riceverà la politica l'avvio alla ripresa se la cultura è ferma? [...]
Che cosa significa, per un scrittore, essere "rivoluzionario"? Nella mia dimestichezza con taluni compagni politici ho potuto notare ch'essi inclinano a riconoscerci una qualità di "rivoluzionari" nella misura in cui noi "suoniamo il piffero" intorno ai problemi rivoluzionari posti dalla politica; cioè nella misura in cui prendiamo problemi dalla politica e gli traduciamo in "bel canto": con parole, con immagini, con figure. Ma questo, a mio giudizio, è tutt'altro che rivoluzionario, anzi è un modo arcadico d'essere scrittore. [...]
Rivoluzionario è lo scrittore che riesce a porre attraverso la sua opera esigenze rivoluzionarie diverse da quelle che la politica pone. Esigenze interne, segrete, recondite dell'uomo che egli soltanto sa scorgere nell'uomo, che è proprio di lui scrittore scorgere e che è proprio di lui scrittore rivoluzionario porre e porre accanto alle esigenze che pone la politica (...).

Elio Vittorini, “Il Politecnico” n° 37 / 1947
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