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23 Maggio 1992
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23 Maggio 1992
Il 23 Maggio del 1992 ero ad un concerto di musica lirica a Villa Malfitano, una stupenda villa liberty nel cuore della città. Il concerto era al primo tempo e si aspettava l'arrivo del sindaco Lo Vasco. Poco prima dell'intervallo si sentirono molte sirene della polizia e qualcuno lamentò che disturbavano il concerto. Nulla si capiva di ciò che stava accadendo, perché a Palermo le sirene erano frequenti e nessuno se ne stupiva. All'intervallo, si diffuse la notizia della strage di Capaci, il sindaco non venne più. Tutti pensavamo alla scorta di cui subito si seppe non s'era salvato nessuno e aspettavamo di sapere se Falcone e la moglie che erano stati gravemente feriti ma erano arrivati vivi all'ospedale Civico ce l'avessero fatta. Non ce la fecero. Entrambi morirono poco dopo. Il lunedì sera le bare furono esposte al Palazzo di Giustizia. Andai a rendere omaggio anch'io. Non c'era molta gente, tutt'altro. Allora non capii le ragioni, ma quelle bare esposte nell'enorme androne del Palazzo di Giustizia mi parvero desolate, non c'era folla fuori, non c'era dentro quasi nessuno.
Appena l'indomani mattina al funerale invece la folla era assiepata al Pantheon di Piazza S. Domenico, la chiesa dei morti ammazzati di mafia. La città si era svegliata diversa dalla sera prima. La città aveva capito. La città tutta, non gli ambienti intellettuali come era stato appena due mesi prima, quando un pomeriggio all'Università si era diffusa la notizia dell'attentato in cui era morto Salvo Lima e tutti gli studenti ci abbracciammo e brindammo (con grande disappunto di un paio di professori cattolici che rimasero "disgustati", dissero così, del fatto che una morte violenta potesse entusiasmare dei giovani e del fatto che altri si arrogassero un giudizio che spettava solo a Dio). Quella volta, e per Palermo era davvero la prima volta, la città tutta capiva e insorgeva.
Furono giorni di tensione altissima, la gente scendeva per strada, si respirava rabbia.
I lenzuoli vennero dopo. Dopo la strage di Via D'Amelio in cui morirono il giudice Borsellino e la scorta.
Partii per le vacanze estive. Ero alla stazione di Milano quando seppi per telefono che era stato ucciso anche il giudice Borsellino. Lo avevano ucciso da una mezz'ora, bombardando una strada elegante della zona nuova della città. Subito mi precipitai all'edicola vicino alla sala d'aspetto ma poi non ebbi il coraggio di chiedere il giornale. Mi vergognavo. Mi vergognavo di essere siciliana. Avevo paura che l'edicolante potesse capirlo dal mio accento. Un'assurdità, evidentemente, ma mi vergognavo.
Un mio zio ha ancora le immagini dei telegiornali del giorno dei funerali della scorta. Di tutto quello che è stato, io ricordo un'immagine che mi colpì. I funerali di Borsellino si tennero in forma privata, mentre funerali di Stato si fecero per gli agenti della scorta alla Cattedrale. La gente era impazzita, all'arrivo dei politici ruppe le transenne e sciamò nell'atrio della cattedrale. Fra le immagini del telegiornale c'era quella di un collega della Facoltà di Filosofia con cui noi studenti di Lettere condividevamo le biblioteche. Uno studente di quelli bravi, studiosi e solitamente inamovibile dalla biblioteca. Non lo vidi parlare mai, né quasi mai sollevare lo sguardo dai suoi libri. Un ragazzo all'apparenza sdegnoso o forse semplicemente timido. Lo vidi nelle immagini del tg fra gli altri della folla che gridava e sputacchiava all'arrivo dei politici, scavalcava il muro della cattedrale, furente, sudato, nel caldo di luglio di Palermo. Si precipitava dentro la cattedrale davanti alla quale quattromila soldati dell'esercito facevano cordone.
Poi vennero i cortei, poi le lenzuola che la gente esponeva dai balconi e su cui scriveva frasi anti-mafia o qualche volta nulla perchè c'era un linguaggio dei fatti che di parole non aveva bisogno più. Mai ho visto la mia città come in quei mesi e gli effetti durarono almeno per i primi due anni, quando Palermo era blindata dalle migliaia di soldati che piantonavano ogni angolo, quando sui parabrezza delle auto trovavi il volantino dell'Esercito con scritto "Invita un soldato per una pizza".
Furono anni di orrori, ma anche di una partecipazione popolare espressa in termini di sdegno, al punto che oggi quegli anni sembra quasi di doverli rimpiangere.
Rendere oggi omaggio a Falcone, allla moglie il giudice Morvillo, a Borsellino e agli agenti della scorta non significa testimoniare il passato, ma costruire il futuro. E' per questo che vorrei segnalare questo link, perché non propone la memoria di quei giorni con l'effetto catartico che ci solleva dalle responsabilità, ma ci interroga, ci disturba, ci chiede.
https://www.youtube.com/watch?v=FpRpKXtPjSE
HH
Appena l'indomani mattina al funerale invece la folla era assiepata al Pantheon di Piazza S. Domenico, la chiesa dei morti ammazzati di mafia. La città si era svegliata diversa dalla sera prima. La città aveva capito. La città tutta, non gli ambienti intellettuali come era stato appena due mesi prima, quando un pomeriggio all'Università si era diffusa la notizia dell'attentato in cui era morto Salvo Lima e tutti gli studenti ci abbracciammo e brindammo (con grande disappunto di un paio di professori cattolici che rimasero "disgustati", dissero così, del fatto che una morte violenta potesse entusiasmare dei giovani e del fatto che altri si arrogassero un giudizio che spettava solo a Dio). Quella volta, e per Palermo era davvero la prima volta, la città tutta capiva e insorgeva.
Furono giorni di tensione altissima, la gente scendeva per strada, si respirava rabbia.
I lenzuoli vennero dopo. Dopo la strage di Via D'Amelio in cui morirono il giudice Borsellino e la scorta.
Partii per le vacanze estive. Ero alla stazione di Milano quando seppi per telefono che era stato ucciso anche il giudice Borsellino. Lo avevano ucciso da una mezz'ora, bombardando una strada elegante della zona nuova della città. Subito mi precipitai all'edicola vicino alla sala d'aspetto ma poi non ebbi il coraggio di chiedere il giornale. Mi vergognavo. Mi vergognavo di essere siciliana. Avevo paura che l'edicolante potesse capirlo dal mio accento. Un'assurdità, evidentemente, ma mi vergognavo.
Un mio zio ha ancora le immagini dei telegiornali del giorno dei funerali della scorta. Di tutto quello che è stato, io ricordo un'immagine che mi colpì. I funerali di Borsellino si tennero in forma privata, mentre funerali di Stato si fecero per gli agenti della scorta alla Cattedrale. La gente era impazzita, all'arrivo dei politici ruppe le transenne e sciamò nell'atrio della cattedrale. Fra le immagini del telegiornale c'era quella di un collega della Facoltà di Filosofia con cui noi studenti di Lettere condividevamo le biblioteche. Uno studente di quelli bravi, studiosi e solitamente inamovibile dalla biblioteca. Non lo vidi parlare mai, né quasi mai sollevare lo sguardo dai suoi libri. Un ragazzo all'apparenza sdegnoso o forse semplicemente timido. Lo vidi nelle immagini del tg fra gli altri della folla che gridava e sputacchiava all'arrivo dei politici, scavalcava il muro della cattedrale, furente, sudato, nel caldo di luglio di Palermo. Si precipitava dentro la cattedrale davanti alla quale quattromila soldati dell'esercito facevano cordone.
Poi vennero i cortei, poi le lenzuola che la gente esponeva dai balconi e su cui scriveva frasi anti-mafia o qualche volta nulla perchè c'era un linguaggio dei fatti che di parole non aveva bisogno più. Mai ho visto la mia città come in quei mesi e gli effetti durarono almeno per i primi due anni, quando Palermo era blindata dalle migliaia di soldati che piantonavano ogni angolo, quando sui parabrezza delle auto trovavi il volantino dell'Esercito con scritto "Invita un soldato per una pizza".
Furono anni di orrori, ma anche di una partecipazione popolare espressa in termini di sdegno, al punto che oggi quegli anni sembra quasi di doverli rimpiangere.
Rendere oggi omaggio a Falcone, allla moglie il giudice Morvillo, a Borsellino e agli agenti della scorta non significa testimoniare il passato, ma costruire il futuro. E' per questo che vorrei segnalare questo link, perché non propone la memoria di quei giorni con l'effetto catartico che ci solleva dalle responsabilità, ma ci interroga, ci disturba, ci chiede.
https://www.youtube.com/watch?v=FpRpKXtPjSE
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